Chi sono

Nata a Piacenza e milanese acquisita da ormai dieci anni, negli ultimi anni sto attraversando un importante periodo di transizione.

Mi sono laureata in Psicologia e ho svolto tutto l’iter per diventare una psicologa clinica, ma più mi addentravo nella materia, più capivo che vi erano delle lacune che non avrei mai potuto colmare da sola, ricoprendo un ruolo che io stessa ho dovuto mettere in dubbio nel tempo.

Già a partire dalla magistrale percepivo una grande distanza tra il mondo accademico e quello “reale”, e questa consapevolezza mi ha fatta avvicinare a temi molto distanti da quelli che trattavano i miei studi, come la fisica delle onde cerebrali, la robotica umanoide e l’interazione uomo-computer.

Quindi ho fondato “Psicologia Digitale”

In quel periodo ho creato un blog che avevo chiamato, appunto, “Psicologia Digitale”, nel quale decantavo la necessità per la Psicologia di rendersi ibrida, di sporcarsi le mani con le cose attuali, di uscire dalle etichette psicopatologiche e di abbracciare la multidisciplinarità.

Gli articoli di quel blog rimangono, in questo sito web, nella sezione “Riflessioni, perché ritengo siano parte integrante della mia evoluzione come persona.

Uscita dall’Università piena di energie, il mondo del lavoro mi ha ricordato quanto poco vengano valutate le buone intenzioni in assenza di una solida esperienza. Mi sono dapprima orientata verso il mondo della ricerca scientifica (senza successo), e in seguito ho fatto un tentativo come docente di sostegno in una scuola elementare, fino ad approdare alle prime aziende interessate alle mie capacità.

Questi anni di esplorazione sono stati fondamentali per apprendere come funzionasse “il mondo reale”, al di là di quello che veniva descritto nei manuali di Psicologia.

Nel blog ho potuto ritagliarmi uno spazio da dedicare allo studio e alla riflessione intorno alla tecnologia, osservata da un punto di vista umanistico e figlia di un periodo di fermento culturale sulla “innovazione a tutti i costi” che inizialmente ho sposato, ma che pian piano ha fatto trasparire tutte le sue criticità, allontanando sia me che gli altri suoi sostenitori.

Una crisi interiore

Dopo un po’ ho quindi iniziato a distaccarmi da questa sorta di Neo-Positivismo tutto orientato verso la tecnologia, e tra le mie “Riflessioni” si può osservare che nell’ultimo periodo i miei articoli sono stati molto più critici del passato (un esempio su tutti, questo articolo sulla dipendenza dai videogiochi che, per me, non esiste).

Il ciclo di articoli sulla critica al metodo scientifico – Inconcluso

Critica al metodo scientifico (1 di 5): Ricercatori distaccati dalla realtà

Mentre l’istruzione è, a parer mio, pronta per la disruption1, ovvero per un ripensamento radicale che la scuota dalle fondamenta per portarla al passo con i giorni nostri, ci sono rami del mondo della formazione che sono ancora ben lungi dal mostrare un’apertura di questo tipo. Uno tra tutti è il mondo scientifico.

Il punto di rottura l’ho avuto quando il mio pensiero si è scontrato contro ciò a cui più ero rimasta “fedele” fino ad ora: il metodo scientifico. Ho delineato una scaletta di cinque articoli di “critica”, a partire dalla struttura fallimentare entro cui gli scienziati lavorano, fino alla necessità di definire il fine ultimo della Scienza stessa. Sono riuscita a scrivere soltanto i primi due articoli, e non certo perché non avessi argomenti per discutere quelli rimanenti.

Si è trattata di una vera e propria crisi intellettuale: riconoscendo i problemi della Scienza, stavo rinnegando anni e anni di studi e di approfondimenti su quel mondo. E, soprattutto, stavo rivalutando una sorta di “credo” interiore, che aveva guidato il mio percorso per tutta la mia vita. Pensavo di essere ben agganciata al mondo, invece ero aggrappata a qualcosa di instabile ed evanescente. Mi sentivo persa.

Un nuovo spiraglio: l’arte

Ed è qui che è riemerso il bisogno di aggrapparmi saldamente a qualcosa che, in virtù della mia rigida dottrina scientifica interiore, avevo sempre riposto in un angolino della mia esistenza: l’arte.

Fin da piccola ho sentito una certa attrazione naturale verso l’arte in diverse forme, come la musica (ho suonato la chitarra classica per anni), la poesia e il disegno.

Crescendo, ho fatto di tutto per staccarmi da queste passioni che percepivo di così poco valore, ma spesso queste ultime prendevano il sopravvento. La poesia, in particolare, era diventata la mia catarsi emotiva, una valvola di sfogo necessaria per affrontare tutte quelle sensazioni interiori che ricacciavo giù con la forza delle rigide argomentazioni scientifiche.

E così, dopo l’ennesimo vano tentativo di scrivere la terza parte del ciclo di cinque articoli sulla critica del metodo scientifico, mi è capitato di prendere in mano foglio e matita e di iniziare a scarabocchiare.

E di scarabocchio in scarabocchio, mi ha colto una strana nostalgia. Per un attimo la mia mente è tornata a quando nel cuore della notte disegnavo senza sosta e poi nascondevo accuratamente i miei schizzi per non farli trovare a quegli adulti che avrebbero sicuramente deriso tutti i miei sforzi di autodidatta.

E per un attimo ho percepito di nuovo ciò che allora muoveva la mia mano notturna: quel bisogno spirituale non legato a nessuna religione in particolare, che voleva a tutti i costi uscire fuori e imprimersi su carta.

Presa da questa nuova – ma vecchia – rivelazione, mi sono iscritta ad un corso di ritratto, da cui è scaturito il mio Fantozzi. Il lato tragicomico della foto che ho riprodotto a matita mi aveva colpita a fondo, e mi aveva fatto riflettere su quello che avrei potuto rappresentare in disegno: la contraddizione, che contraddistingue ogni essere umano, tra ciò che si crede di essere e ciò che in realtà si è. Una sorta di pirandelliano “sciocco Gengè” rappresentato attraverso un’immagine anziché una commedia.

Peggio ancora, quello che oggi vorrei rappresentare è il momento esatto in cui l’essere umano prende coscienza della propria condizione – umana, appunto. Quel momento in cui si sente davvero connesso al mondo, ed anche il momento in cui quella connessione si spezza per farci vagare verso nuove mete. Com’è successo a me, infondo, e come succede a tutti noi.

Oggi sono iscritta al primo anno di Illustrazione della Scuola Comics, per imparare le basi e le tecniche per riuscire a rappresentare quanto desidero. Ed è per questo che ho aggiunto una sezione dedicata all’arte, destinata in futuro a gonfiarsi per prevalere sulle “Riflessioni”.

Ma essendo in un periodo di transizione, mi è sembrato più accurato presentare entrambi i lati del mio pensiero, tenendo fede alla mia attuale contraddizione interiore.


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