Se uno straniero non poliglotta va dal medico

Anni fa lavoravo nel Customer Service di un poliambulatorio italiano. Una sera ricevo una chiamata da una ragazza molto agitata, che parla un inglese piuttosto maccheronico, mescolato a qualche parola di russo. Dice che è stata in Italia per le vacanze, che ha fatto un esame medico non previsto, e che al suo ritorno in Russia il suo medico non sapeva tradurne i risultati. Si trattava di un esame molto importante per la sua salute, specificava. E l’ansia che trasmetteva attraverso la sua voce, sebbene a tratti a me incomprensibile, era l’unica cosa chiara di quella telefonata.

È allora che mi si è palesato un enorme, gigantesco problema che affligge tutti i sistemi sanitari delle società multiculturali: la difficoltà per uno straniero di capire ed essere capito nel caso in cui dovesse rivolgersi al medico.

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Foto di Thirdman da Pexels

Un problema di comunicazione

Cosa succede se uno straniero, che non parla bene (o non parla affatto) la lingua del posto, dovesse sentirsi male e andare all’ospedale? È quello che si è chiesto Anam Hussain, giornalista freelance che a inizio febbraio di quest’anno ha scritto per Aljazeera un articolo intitolato, senza troppi giri di parole, “‘Life and death’: Barriers to healthcare for ethnic minorities”1.

Perché riuscire a capire i sintomi del paziente è davvero una questione di vita o di morte.

Nell’articolo si citano per lo più casi di emergenza sanitaria, come un infarto, una frattura o i sintomi da Covid-19, ma penso sia di fondamentale importanza riuscire a comunicare in modo efficace anche nei primi momenti della domanda sanitaria: dal medico di base. Spesso, infatti, sintomi apparentemente innocui si traducono, con un’accurata indagine, in complesse situazioni patologiche, e diventa vitale comprendere i dettagli del percorso che si dovrà intraprendere in qualità di pazienti.

Persino i nativi del luogo hanno spesso difficoltà a comprendere il linguaggio “medichese”, fatto di termini specialistici che per il dottore sono mera routine. Figurarsi se ci dovessimo trovare in terra straniera: “Dopo tutto, questa non è la mia lingua. Se vado da sola dal medico non riuscirò a capire niente. Forse fraintenderò qualcosa. Non sarò nemmeno in grado di orientarmi nell’ospedale” sostiene una paziente intervistata per l’articolo sopracitato, originaria del Pakistan, che riesce a comunicare sempre e solo attraverso sua figlia.

Che sia un’emergenza da pronto soccorso, dei sintomi lievi o una patologia conclamata, gli stranieri si ritrovano spesso a scegliere di non recarsi dal medico proprio per la difficoltà di comunicazione.
Come la donna di prima, molti stranieri sono costretti ad attendere la disponibilità di un familiare che conosca sia la propria lingua che quella del posto, ma quella disponibilità non è sempre accessibile e presente in tutte le famiglie. Inoltre, si pone un grosso problema riguardante la privacy: quanti stranieri eviteranno di recarsi dal medico per problemi – un esempio su tutti – di natura sessuale, perché l’unico modo per andarci è attraverso i propri conoscenti?

Talvolta è una questione culturale

Anam Hussain, inoltre, allarga l’indagine anche a problemi di natura culturale, come racconta il Professor Milko Patrick Zanini, che insegna infermieristica all’Università di Genova. Un giorno si è trovato di fronte una paziente proveniente dall’Africa subsahariana portata nel centro traumatologico della città:

Si era rotta una gamba. Era difficile spiegarle che il trattamento prevedeva un intervento chirurgico, perché, nella sua cultura, bastava trattarlo con latte vaccino. Quindi, abbiamo fatto un compromesso. Le abbiamo dato un bicchiere di latte e lei ci ha permesso di continuare il trattamento.

La stessa cosa accade di fronte a pazienti provenienti dall’India, che tradizionalmente si curano attraverso rimedi omeopatici, o nei casi di pazienti Testimoni di Geova, che secondo il loro credo non possono ricevere trasfusioni di sangue altrui.

Quando la questione è culturale, l’integrazione tra due mondi diversi trova un ostacolo immenso. Spesso, la cultura “dominante” non conosce nemmeno i dettagli culturali dell’etnia che sta cercando di curare. Ecco che avere una persona originaria del luogo dove ha vissuto il paziente diventa fondamentale ma, come detto prima, rivolgersi ai familiari è limitante sia in termini logistici che di privacy.

Quali soluzioni ESISTONO OGGI

Nel caso della telefonata di quella ragazza russa, in mancanza di un interprete nella sua lingua abbiamo tradotto il documento in inglese sperando che il suo medico conoscesse questa lingua.

Negli ospedali, la maggior parte delle procedure e indicazioni vengono tradotte per iscritto nelle principali lingue degli abitanti del posto.

Nei casi più complessi, ci si rivolge ad interpreti che arrivino in presenza accanto al paziente. Tuttavia, l’arrivo dell’interprete è vincolato alla disponibilità di quest’ultimo, oltre ad essere piuttosto oneroso. Si tende quindi a contattarlo solo in situazioni straordinarie. E, di certo, non viene contattato dal medico di base.

E poi esiste una start-up, che ha individuato questo problema e lo ha risolto in modo a mio parere molto elegante: se un interprete in questi casi è fondamentale, bisogna risolvere la questione della sua pronta accessibilità. Ecco che avere interpreti in tutto il mondo che possano comunicare 24/7 con il loro compaesano a distanza attraverso una videochiamata diventa una soluzione semplice, ma estremamente efficace.

La start-up si chiama CloudBreak2, ed è partita da un obiettivo simile rivolto, però, ai sordomuti sempre in ambiente ospedaliero. Ha così allargato il suo bacino d’utenza abbracciando la multiculturalità.
(E, se può interessarvi, attualmente sta cercando interpreti di madrelingua italiana.4 😉 )

Partita dagli Stati Uniti, dopo essere stata inglobata da UpHealth3, società quotata in borsa che si occupa della trasformazione digitale nel settore sanitario, CloudBreak ha oggi mire espansionistiche su scala mondiale.

Ma, in realtà, il modello è talmente semplice ed elegante che probabilmente è possibile replicarlo ovunque nel mondo. Se oggi, in Italia, vengono stanziati fondi per sviluppare la telemedicina (è notizia di oggi che nel documento “Lombardia 2021-2023, il futuro è adesso” si faccia riferimento alla digitalizzazione del sistema sanitario5) , penso che la questione della comunicazione efficace sia un nodo cruciale su cui è possibile investire. Ciò permetterebbe sia di velocizzare i processi che portano ad una diagnosi, sia – nel lungo periodo – di assicurare un migliore stato di salute degli stranieri grazie alla corretta comprensione delle indicazioni mediche, che graveranno così di meno sul sistema sanitario.

Annalisa Viola

Per approfondire:

1. Articolo di Anam Hussain per Aljazeera: https://www.aljazeera.com/features/2021/2/4/the-medical-barriers-to-healthcare-for-ethnic-minorities-in-the-w

2. Sito di CloudBreak: https://www.cloudbreak.us/

3. Video di StartupHealth con un’intervista al CEO e co-founder di CloudBreak, Jamey Edwards, che spiega bene sia come funziona l’azienda sia della recente acquisizione: https://www.youtube.com/watch?v=CMxRsu_zWLA&list=PLkzfu6hnQEQGjRWU3GgEV_igcwqOrX0QL&ab_channel=StartUpHealth

4. Offerta di CloudBreak per interpreti di madrelingua italiana: https://www.linkedin.com/jobs/view/2412667987/?refId=kvS9KzfHMkGigOgrgPuqnw%3D%3D&trackingId=vg0%2B97n7h39uGO1peeKHUw%3D%3D

5. Sara Monaci. 23 febbraio 2021. “La riforma Moratti: 4 miliardi da investire e nuovi poliambulatori
Le linee guida in giunta Rimandato il capitolo del rapporto pubblico-privato
“. Il Sole 24 Ore.

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